Una quarantina di giorni in quarantena. Come gestire la fame

Stiamo vivendo, da circa 40 giorni, una “nuova vita”. Tra le mura domestiche a causa dell’emergenza COVID-19, fattori stressogeni rischiano di alterare il nostro rapporto con il cibo. Quest’ultimo assume connotazioni più psicologiche che biologiche, divenendo conforto e rifugio, piuttosto che energia e mezzo per soddisfare le esigenze metaboliche. In altre parole, l’atto del mangiare può realizzarsi in risposta alla cosiddetta “fame nervosa”.

Che cos’è la fame nervosa?

Mentre la fame biologica dipende da un “vuoto gastrico” ed ha lo scopo di assicurare al nostro organismo il fabbisogno calorico giornaliero colmando deficit energetici, la fame nervosa è la tendenza a mangiare cibo secondo uno stimolo che potremmo definire “vuoto emotivo”, con il fine ultimo della “compensazione”. I fattori psicologici da cui ha origine possono essere sentimenti negativi quali ansia, stress, paura, noia e tristezza. L’emergenza sanitaria attuale e il contesto che viviamo sono terreno fertile per questi input: il cibo, stando a casa, è a portata di mano e diventa “valvola di sfogo”, diventa “comfort food”.

Quali sono le conseguenze e i rischi della fame nervosa?

Il valore del cibo come “cura” ha radici nel nostro essere. L’atto del nutrire si configura un atto d’amore a partire dall’allattamento, fonte nutrimento fisiologico e mezzo con cui la mamma si “prende cura” del nascituro. Tutto questo è vero, ma vedere e sentire il cibo come fonte irrefrenabile di gratificazione di paciere, può alterare il nostro comportamento alimentare, fino a creare vere e proprie “dipendenze”. Quando a guidare le nostre scelte alimentari sono i sentimenti, siamo portati, in virtù di meccanismi che regolano la fame e la sazietà finemente modulati da ormoni a livello centrale, a consumare cibi ipercalorici, caratterizzati da “calorie vuote” e da un alto contenuto di zuccheri, sali e grassi “cattivi”. Non solo stimoliamo continuamente la fame, ad esempio per aumento della glicemia e continua stimolazione dell’insulina, innescando un ciclo che si autoalimenta, ma rischiamo di peggiorare tutti i parametri metabolici. Il cibo che consola può diventare cibo che danneggia il nostro equilibrio corporeo. È chiaro che questo succede se l’atteggiamento errato è costante, non si tratta di un effetto che si innesca se ci concediamo una cena sfiziosa o qualche pezzetto di cioccolata qua e là durante la settimana.

Quali sono gli “strumenti di difesa”?

  1. Consapevolezza e autoanalisi. Imparare a distinguere la fame emotiva da quella biologica: oltre che “sentire lo stomaco” uno strumento importante può essere rappresentato dal diario alimentare. Scrivere ciò che si mangia può essere la strada per la presa di coscienza degli errori e per tenere a mente il timing dei pasti: se mangiamo un’ora dopo aver terminato l’ultimo pasto, è altamente improbabile che la nostra sia una fame biologica.
  2. Pianificazione della giornata alimentare. È importante definire i pasti giornalieri per non rischiare di operare scelte dell’ultimo momento. Cerchiamo di far passare massimo 12 ore tra il primo pasto e l’ultimo pasto della giornata e di consumare 5 pasti al giorno. Pianifichiamo la nostra giornata cercando di non alterare il nostro “orologio biologico”: i ritmi biologici del nostro corpo, quali l’attività del cuore, del fegato, le secrezioni gastriche e intestinali, si adattano a quelli imposti dall’alternanza luce/buio, sonno/veglia, grazie al lavoro meraviglioso e instancabile di alcuni tipi cellule cerebrali.
  3. Spesa consapevole. Ognuno di noi conosce i suoi “punti deboli”, ossia i “cibi scatenanti”. Evitiamo di comprare questi alimenti. Se proprio non riusciamo a non portarli a casa, cerchiamo di creare alternative pronte e più salutari: teniamo sempre in frigo verdura cruda tagliata e pronta al consumo. Magari non abbiamo voglia di pulire gli ortaggi, ma se sono già pronti, eliminiamo un motivo per non scegliere questi nei “momenti no”.
  4. Qualità versus quantità. Approfittiamo del tempo a disposizione per preparare pasti più elaborati e raffinati, puntando alla loro qualità piuttosto che alla quantità. Concentriamoci sulle materie prime, sui metodi di cottura e sui condimenti. Eleviamo il cibo ad “esperienza di valore”, in quanto colmo della nostra fantasia e della nostra attenzione.
  5. Separazione spazio-temporale. Dedichiamo tempo all’atto del mangiare, non facciamolo mentre siamo davanti al PC o davanti alla TV o sul divano. Consumiamo cibo in cucina, seduti in tavola e, a pasto concluso, rechiamoci in bagno per lavare i denti.
  6. Gusto amaro come anti-fame naturale.  Ci sono alimenti che attivano quel meccanismo neuro-ormonale che comunica al cervello la nostra sazietà. Oltre alla fibra, possiamo puntare a piccole quantità di cioccolato fondente (amaro) o al caffè amaro, ma soprattutto alle verdure amare, quali cicoria, scarola, rucola, radicchio, ma anche a cavoli, cavolfiori, carciofi e asparagi.
  7. Tecniche di distrazione. Quando la fame si fa sentire e non è il momento di mangiare, è utile distrarsi compiendo altra azione gradita, quale può essere telefonare un’amica, videochiamare un familiare lontano, fare un bagno caldo, praticare attività fisica, scrivere, leggere e dedicarsi ad attività creative e rilassanti per le quali si ha sempre poco tempo.