Il motivo principale per il quale mangiamo è che mangiare ci serve per vivere: ogni giorno è necessario soddisfare il fabbisogno di energia e nutrienti attraverso l’introito di una certa quantità di cibo che varia da persona a persona, a seconda di vari fattori, tra cui il sesso, l’età, la composizione corporea ed il dispendio energetico.
Mangiare nella maniera corretta è fondamentale per la nostra sopravvivenza; è tuttavia necessario considerare che introduciamo nel nostro organismo non solo calorie, ma anche molecole.
I grassi, le proteine e i carboidrati costituiscono le tre principali fonti di energia (macronutrienti) fondamentali nella nostra alimentazione. Le vitamine e le sostanze minerali (micronutrienti), invece, non hanno funzione energetica, ma sono tuttavia indispensabili per l’attivazione del nostro organismo e per il mantenimento di alcune sostanze presenti nel nostro corpo.
Mangiare è dunque una necessità legata al mantenimento del nostro corpo e dello stato di salute, oltre che la strada per la prevenzione, ossia l’insieme delle misure finalizzate a prevenire l’insorgenza delle malattie, agendo sulla riduzione dei fattori di rischio, che hanno a che fare con lo stile di vita di ciascun soggetto. E’ importante infatti alimentarsi in maniera corretta per prevenire alcune malattie cronico-degenerative, rispetto alle quali la corretta alimentazione (e nutrizione) rappresenta un significativo fattore (ambientale) di rischio modificabile. Il cibo è in grado di apportare al nostro organismo sostanze bioattive aventi proprietà salutari, antiossidanti ed antinfiammatorie ad esempio, garantite da scelte alimentari consapevoli, improntante altresì sulla qualità dei prodotti che portiamo in tavola.

L’ambiente nel quale viviamo oggi è di tipo obesogenico, a contrario dell’ambiente “restrittivo” che caratterizzava la società di alcuni decenni fa, quando la classe proletaria ” si nutriva di pane integrale, verdura e frutta del proprio orto; i “ricchi” avevano la possibilità di portare sulle proprie tavole cibi a base di farine raffinate e carne (selvaggina e pollame). Nella società contadina, dove peraltro il dispendio energetico era massimizzato in virtù dei lavori di campo svolti, non si manifestavano determinate patologie tipiche di un’alimentazione ricca di proteine animali e zuccheri come ad esempio la gotta, patologia molto diffusa nella classe sociale borghese.
Qualità e quantità sono concetti strettamente connessi tra loro: mangiare troppo poco o in maniera squilibrata si ripercuote sulla nostra salute e sulle funzionalità del nostro organismo. Quando mangiamo troppo succede che l’energia in eccesso e quindi le calorie vengano trasformate in tessuto adiposo (grasso). Ecco perché troppe calorie determinano un aumento di peso. Al contrario quando mangiamo in maniera adeguata il corpo utilizzerà tutte le riserve di grasso, riducendo in questo modo il peso e la massa grassa.
Mangiamo anche per il piacere di farlo: in effetti quando ingeriamo qualcosa di particolarmente gradito il nostro cervello rilascia dopamina, la molecola della ricompensa e del piacere. L’esperienza culinaria viene percepita come piacevole e ricordata come gradevole, con conseguente tendenza a reiterarla. Le diete che eliminano alcuni alimenti o addirittura intere categorie alimentari appiattiscono i sapori, limitano le scelte e non sono sostenibili a lungo termine, soprattutto se consideriamo il vero significato di dieta, ossia “modo di vivere” e dunque “modo di mangiare”.

L’alimentazione è anche “amore” fin dalle prime fasi della vita: l’allattamento, infatti, racchiude in sé uno scambio relazionale e veicola messaggi affettivi, oltre che sostanze nutritive. Attraverso tale atto, il nascituro si nutre e percepisce l’amore della madre, così che questo primo scambio tra madre e bambino diviene una vera e propria forma di comunicazione.
L’atto del mangiare si riveste di valenze sociali, attraverso le quali si può riconoscere, accettare o rifiutare l’altro, condividere con l’altro. Ed ecco che il significato conviviale del cibo si fa strada, insieme alla celebrazione delle tradizioni, che sono veicolate proprio attraverso la condivisione a tavola: durante le feste, gli eventi come i matrimoni e compleanni, l’atto del mangiare diviene la colonna portante dell’incontro con gli altri, dello scambio di parole, di sorrisi e di emozioni tra i partecipanti.
La valenza emozionale del cibo si può tingere anche di connotati negativi se pensiamo ai casi in cui mangiare diventa una vera e propria dipendenza. Parliamo in questo caso di fame nervosa: si tende quindi a mangiare cibo secondo uno stimolo che potremmo definire “vuoto emotivo”. I fattori psicologici da cui ha origine possono essere sentimenti negativi quali ansia, stress, paura, noia, tristezza e insoddisfazione, in virtù dei quali il cibo diviene “anestetico”, sfogo e transitorio conforto, con il rischio di sfociare nei veri e propri disturbo del comportamento alimentare.
Portiamo a tavola tutte le valenze positive del cibo, compresa il ruolo del cibo come modulatore del nostro stato di salute, senza castigare il gusto o medicalizzare ogni boccone, ma con la consapevolezza che ogni atto alimentare può essere un passo verso uno stato di benessere e salute.